Arte tattile: Giorgio va al museo

Giorgio non aveva mai messo piede in un museo. Non perché non gli piacesse l’arte, ma perché non aveva mai creduto di poterla vivere. La cecità, che lo accompagnava dalla nascita, gli aveva fatto pensare che certe cose fossero semplicemente fuori dalla sua portata.

Quando sentì parlare di un’iniziativa particolare, promossa da MUS.E di Firenze, dal Laboratorio GeCo dellUniversità con Museo Novecento di Firenze e Museo delle Terre Nuove e San Giovanni Valdarno, la sua curiosità lo spinse a provare. “Il museo in valigia”, la chiamavano. Un progetto che avvicinava copie di opere d’arte a chi, come lui, non poteva percepirle con gli occhi.

Arrivato alla sala, seguando il percorso segnato a terra, si avvininò ad una prima opera: una scultura in scala ridotta. Era L’attesa, o Susanna di Arturo Martini. Con un misto di timore ed emozione, Giorgio allungò le mani. Il tatto, il suo senso più affinato, si fece strada tra le curve delicate della figura, esplorando ogni dettaglio.

“È così che si sente l’arte” pensò, “con le dita che leggono ciò che gli occhi non vedono”, poi, una ad una esplorò le altre, leggendo con le dita i testi braille alla base delle opere. Quando le mani di Giorgio incontrarono i dettagli del Giovane pugile di Marino Marini, un sorriso gli attraversò il volto. Non era solo arte quella che stava toccando, ma la storia, la creatività e l’umanità che ogni opera portava con sé.

Oltre alle sculture, anche alcuni dipinti erano stati trasformati in bassorilievi. Ogni replica aveva lo scopo di rendere accessibile un universo artistico spesso distante per molti.

Si fece poi accomagnare a San Giovanni Valdarno. All’intetno del Palazzo di Arnolfo ebbe modo di cogliere, esplorando col tatto, il modello di quel palazzo e di comprenderne così le forme, l’architettura.

Gli fu raccontato di come quelle repliche fossero nate grazie a tecnologie avanzate: fotogrammetria e laser scanner per generare modelli virtuali che permettevano di creare copie fedeli, persino con texture materiche delle superfici simili all’originale.

In quei momenti Giorgio capì che il vero scopo di quel progetto non era solo la riproduzione delle opere, ma la loro condivisione. Per la prima volta, l’arte non era più un’immagine lontana, ma una realtà viva e accessibile, pronta a raccontarsi a chiunque fosse disposto a tendere le mani.

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